Le sorelle Brontë (e due altre narratrici ottocentesche, in breve)

Il genere “romanzo” fu il primo con cui le donne scrittrici si cimentarono in modo più continuativo ed iniziarono a godere di fortuna letteraria, principalmente perché era considerato un prodotto editoriale di intrattenimento, e la sua scrittura poteva essere interrotta e ripresa tra una faccenda e l’altra, come nel caso di Jane Austen che scriveva nella stanza di soggiorno della famiglia, riversando nella narrazione proprio quel turbinio di pensieri, persone e rapporti tipico della vita quotidiana.
L’ esempio a mio avviso più affascinante della tendenza all’emancipazione femminile in forma autoriale, che resta uno dei tratti salienti dell’età Vittoriana, pieno di implicazioni teoriche, è costituito dagli scritti e dall’esperienza letteraria delle sorelle Brontë: Charlotte (1816-1855), Emily (1818-1848) ed Anne (1819-1849).

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bronte_haworthFiglie anch’esse, come la Austen, di un parroco anglicano, dopo la morte in giovane età della madre (di origini celtiche) furono educate da una zia fervente metodista secondo principi estremamente severi e rigidi, e vissero gran parte delle loro non lunghe esistenze in una canonica isolata e dispersa nelle selvagge brughiere dello Yorkshire, quasi in reclusione. Leggendo i loro passionali e tormentati romanzi, in particolare Cime tempestose di Emily, ci si chiede davvero da dove abbiano tratto quella materia incandescente e quelle idee nuove che scorrono nelle loro storie, considerando la loro vita pressoché priva di amicizie esterne, amore materno, benessere materiale, salute.

Dominate dal demone della scrittura fin dalla fanciullezza, che passarono prevalentemente da sole, le tre sorelle (inizialmente in cinque, ma due morirono in tenera età) ed un fratello (che morì poi a causa di alcool e oppio dopo una vita tormentata) si inventarono fin da molto giovani mondi paralleli descritti in elaborati quaderni con tanto di mappe geografiche; paesi sconosciuti descritti nei minimi particolari, nei quali le sorelle si immedesimavano nei ruoli di gestione producendo annali e leggi, mitologie e tradizioni; racconti fantastici trascritti in libriccini con calligrafia microscopica: al “ciclo di Angria” un regno africano, collaborarono Charlotte e il fratello, mentre Emily ed Anne nella “Cronaca di Gondal” raccontarono le guerre e i complotti di monarchici e repubblicani in un misterioso regno del nord.

Houghton_Lowell_1238.5_(A)_-_Wuthering_Heights,_1847.jpgNel 1845 Charlotte scoprì per caso alcune poesie manoscritte di Emily e la persuase a pubblicarle insieme con versi propri e di Anne, sono i Poems by Currer, Ellis, and Acton Bell (n.b. pseudonimi maschili)ma la pubblicazione passò inosservata. Le tre sorelle però conobbero poco dopo una insperata, e probabilmente per loro perturbante, fama letteraria, grazie a tre famosissimi romanzi pubblicati (sempre inizialmente con pseudonimo) tra il 1846 e il ’47: Charlotte con Jane Eyre che ebbe un incredibile successo, Emily con Wuthering Heights – Cime tempestose,  il più prodigioso e tumultuoso romanzo della letteratura inglese romantica e Anne con Agnes Grey.

 

emily.jpgI romanzi delle sorelle Brontë, Emily su tutte, contribuirono a cambiare profondamente il senso che la parola “amore”, particolarmente se riferita alle donne, aveva a quei tempi, in un modo che ha influenzato la società e la cultura ben oltre le loro modeste aspettative, e sicuramente oltre le loro intenzioni, arrivando fino a noi con i loro echi di passione, etica panteismo e morte. Le donne protagoniste dei loro romanzi sono eroine nuove, con un carattere sfaccettato e un potere catartico su se stesse e su gli altri, donne emotivamente intense, a volte malvagie, pazze, vendicative, ossessive, disprezzate, ma comunque attive rispetto a una maschilità incapace che affonda e affossa. I loro romanzi sono sono stati innumerevoli volte riproposti al cinema e in tv.

“È inutile dire che gli esseri umani dovrebbero accontentarsi della tranquillità. Hanno bisogno di azione, e se non la trovano, la fanno…Di solito si crede che le donne siano molto calme: ma le donne sentono tutto quanto sentono gli uomini; hanno bisogno di esercitare le loro facoltà e di trovare un campo per i loro sforzi, non meno dei loro fratelli; soffrono di costrizioni troppo rigide, di una stagnazione troppo assoluta, esattamene come soffrirebbero gli uomini; ed è meschino dalla parte dei loro prossimi più privilegiati dire che esse dovrebbero limitarsi alla confezione di budini o calze, o suonare il piano e ricamar borsette”

“Jane Eyre” Charlotte Brontë

 

Altra fondamentale autrice ottocentesca (con una madre famosa di cui abbiamo già

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Mary Shelley

parlato, Mary Wollstonecraft, e che è considerata la fondatrice del femminismo liberale, autrice anch’essa di un romanzo “Mary. A fiction”) è Mary Shelley, che scrisse il forse più famoso e rappresentativo romanzo del secolo: Frankenstein. Inutile dire quanto potente e influente è stata l’invenzione del “mostro” tornato alla vita grazie agli esperimenti del suo creatore (con le sue implicazioni teoriche etiche e futuristiche già preannunciate nel sottotitolo il moderno prometeo) che la Shelley inventò stimolata dalle discussioni serali su etica e vita a Villa Diodati con Polidori, suo marito Byron, Shelley, la stessa Mary e Jane Clairmont (sorellastra di Mary e amante di Byron). Dal diario di Polidori sappiamo del suggerimento di Byron di scrivere ciascuno una storia di fantasmi. “Frankenstein” nacque dunque in seguito ad una gara: Polidori scrisse un lungo racconto “Il Vampiro”, Shelley e Byron due storie di fantasmi e Mary il suo capolavoro, ancora oggi rappresentato in film, telefilm e iconografie varie.

louisa-may-alcott-2.jpgPer la seconda parte dell’800 dobbiamo sicuramente ricordare tra le romanziere di fama internazionale l’americana Louisa May Alcott (1832 – 1888) figlia di un famoso pedagogista dell’epoca che aveva aperto una Scuola e autrice della fortunatissima tetralogia di Piccole Donne: chi non conosce Meg, Jo Beth ed Emy? Le quattro sorelle protagoniste del ciclo di romanzi semi-autobiografici sono stati ispirati dalle sue sorelle. L’autrice si identificava con la ribelle Jo, che però alla fine del secondo libro si sposa, mentre la sua inventrice non si sposerà mai. Come molte di loro, scrisse anche sotto lo  pseudonimo di A. M. Barnard.

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Jane Austen

Ritratto basato su uno schizzo della sorella Cassandra

Ritratto di Jane Austen basato su un disegno della sorella Cassandra realizzato nel 1810 ca. – National Portrait Gallery, Londra.

La più famosa narratrice inglese di tutti i tempi nacque, penultima di otto figli – sei maschi e due femmine – il 16 dicembre del 1775 a Steventon, dell’Hampshire e visse lì fino ai 26 anni, nel umile rettorato di suo padre George, colto, ma non ricco, reverendo protestante. Si trasferì poi con i genitori e l’amata sorella Cassandra a Bath, dove visse alcuni anni e dove iniziò a pubblicare i suoi romanzi. Alla morte del padre, e nonostante gli aiuti dei fratelli, con l’aggravarsi della loro situazione economica Jane Cassandra e la madre tornarono nell’Hempshire dove, a parte qualche raro viaggio a Londra per visitare i fratelli e incontrare gli editori, Jane scrisse incessantemente, ma prevalentemente la mattina presto quando nessuno la disturbava, e mai abbandonò o ritardò per questo le mansioni domestiche (una delle nipoti la ricorderà seduta accanto al camino con un ricamo in mano, in una sera d’inverno, d’un tratto trasformata da una risata scaturita da chissà quale pensiero. La zia si alzò – avrebbe scritto la nipote – attraversò la stanza e si chinò sul tavolino per annotare su un foglio alcune frasi, poi, senza dare spiegazioni, se ne tornò accanto al fuoco e tornò a concentrarsi sui punti del ricamo).

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Il tavolino su cui scriveva Jane

Scriveva sul piccolo tavolino che è ancora visibile nella sala da pranzo della casa di Chawton, probabilmente in una posizione molto scomoda e nascondendo i manoscritti se arrivava qualche visita inattesa. Scrisse fino alla sua morte, avvenuta a soli 42 anni, nel 1817 a Winchester, dove si era recata per consultare un medico, probabilmente affetta dalla malattia di Addison, allora sconosciuta e diagnosticato solo trent’anni dopo. 

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Il Cottage di Chawton in cui visse gli ultimi anni

Jane visse quindi tutta la vita nell’ambiente pre-vittoriano della provincia inglese, con tutti i suoi contrasti sociali, le ferree regole, i pettegolezzi e i pregiudizi. Le vicende politiche e storiche – erano allora in corso le guerre napoleoniche – quasi non toccarono la tranquilla vita di campagna dedita al cucito ed alle letture ad alta voce, eppure, su queste basi all’apparenza addirittura negative, Jane costruì la sua fortunata carriera di romanziera, meritando una fama che col tempo è sempre aumentata e che dura e prospera ancora oggi: con centinaia di traduzioni, libri ispirati a lei, corsi universitari e una quantità incredibile di blog che la riguardano è probabilmente l’autrice a cui sono dedicate più pagine sul web, quella con più fans al mondo. La sua opera è tutt’oggi studiata nelle scuole di cinema e sceneggiatura: dalla costruzione abilissima delle sue trame e dai suoi personaggi hanno tratto ispirazione le strutture delle soap opera ed ai suoi plot di sono ispirati serial, sit com, piece teatrali; Ognuno dei suoi romanzi è stato, alcuni più volte e da diversi registi, trasformato in film, è diventata addirittura la voce narrante di un videogioco di azione – il cui autore è evidentemente anch’esso un fan della scrittrice inglese – e 

Jane-Austen-banknote-001-586x398nel 2017 sarà coniata in Inghilterra una banconota da 10 sterline con la sua faccia!

Con il suo stile inconfondibile e la scrittura complessa e affascinante costituisce nel panorama letterario una delle più notevoli e ben riuscite combinazioni di satira sociale (magistrale l‘incipit di “orgoglio e pregiudizio”) ed eleganza della prosa. 

L’esistenza di Jane risulta filtrata e influenzata dalle vicende della numerosa famiglia: unioni e matrimoni mancati, eredità e nascite, trasferimenti e funerali. Appassionata di storia – più che le date adorava i caratteri forti ma perdenti e da giovane la sua eroina fù Mary Stuart – era ovviamente molto religiosa, ma poco attratta dalle questioni teologiche. Lesse moltissimo, sostenuta dai genitori che consideravano la lettura un indispensabile esercizio della mente, durante l’adolescenza di tutto: Pope, Shakespeare, Fielding Sterne e naturalmente i “sermoni della famiglia”, ma anche romanzi storici e sentimentali, fino a quelli gotici ambientati in sinistri castelli e molto in voga in quel periodo; purché si leggesse, per il reverendo George anche i romanzetti andavano bene! Nella tranquilla campagna gli avvenimenti tristi e lieti si snodarono senza turbare apparentemente troppo la vita di Jane. Tra il convenzionale girotondo di visite a fratelli, cugini e cognate acquisite, viaggi a breve raggio, arrivi e partenze, gite, merende e tè in giardino, ella ebbe tutto il tempo per valutare le persone: l’arte di raccontare cominciò con l’arte di ascoltare e osservare. Poi per intrattenere i familiari e gli amici della ristretta cerchia che frequentava la parrocchia, cominciò ad avventurarsi nella prosa, come in un gioco: commedie – che due volte l’anno, d’estate e a Natale, allestiva insieme alle sorelle e ai fratelli – novelle, indovinelli, sciarade in rima, romanzetti scombinati e brevissimi – il primo “Love and friendship” lo scrisse a 14 anni – tutti attraversati da una vena comica, non ancora temperata dall’eleganza della prosa adulta

Anche se niente consente di collegare fatti avvenuti e fatti immaginari, o persone a personaggi, è a questa cerchia familiare allargata a cui Jane attingerà poi caratteristiche fisiche e spirituali, debolezze, difetti e qualità che nel tempo plasma e fonde per ricomporre, col filtro della creatività, nelle personalità che popolano i suoi romanzi, uomini e donne descritti con tanta acutezza da risultare vivi, ritratti pieni di ironia, fulminei ed estremamente realistici ancora oggi: niente, nelle sue pagine, ha un suono falso e la quotidianità è il suo soggetto narrativo per eccellenza, lasciando ai posteri un perfetto quadro dell’epoca, fuori dalla magniloquenza dei fatti presenti nei libri di storia.

imgmfjamesedwardcap5I dettagli sulla sua vita e le persone che ne fecero parte ci sono noti grazie alle poche lettere delle numerose corrispondenze che ella intrattenne, e che non furono bruciate dopo la sua morte dalla sorella Cassandra, a cui la scrittrice era legata da un rapporto profondo e fusionale. Cassandra era la sua prima lettrice, il filtro tra lei e il mondo. Da queste corrispondenze, in cui si parla essenzialmente di vita quotidiana e si commenta ogni piccolo grande evento accaduto nella comunità (le lettere più intime non ci sono appunto pervenute) viene fuori l’immagine di una donna naturale e spontanea, timida con gli estranei ma divertentissima con familiari e amici, realistica e pratica fino a sembrare quasi cinica, capace di tratteggiare aspetti caratteriali con brevi frasi pungenti e lapidarie di tre-quattro parole, acuta e curiosa della natura umana, una donna che forse ebbe più occasioni di osservare (e giudicare) scelte e azioni degli altri che farne essa stessa. Una mente vivace ma giudiziosa, capace di trovare nel “nonsense” della quotidianità motivi di distrazione, cosa che nei momenti più bui e difficili diventa per lei necessario aggancio per non farsi travolgere dalle emozioni e mantenere la compostezza. Insieme all’ironia pungente, nella vita come nei romanzi,  l’uso della ragione e del buon senso, e mai del sentimentalismo, sono per lei le risposte più adatte ad ogni dubbio e problema umano. Una lezione per chi ritiene che solo una vita attraversata da massimi avvenimenti sia importante e vissuta, o degna di essere raccontata, mentre uno dei segreti dell’universalità dei romanzi austeniani è proprio questa: tutti possono ritrovarsi nella semplicità, pochissimi nell’eccezionale.

Le informazioni private rimangano comunque scarse e vaghe poiché nel geloso e in qualche modo comprensibile tentativo di preservarne la memoria, alla sua morte Cassandra bruciò quelle che secondo lei avrebbero dato una conoscenza troppo intima della sorella, ed eliminò da quelle salvate le frasi che esprimevano gli stati di esaltazione eccessivi (considerata l’apparente morigeratezza del periodo) o i momenti di debolezza e avvilimento, lasciando solo quelle, come severamente si espresse la Woolf che la adorava, “troppo triviali per interessare i posteri”, in cui la scrittrice restava in disparte e la scorrevolezza delle annotazioni veloci e un po’ superficiali su persone, attività, mode, e gusti ignorava, oltre Cassandra, la possibile curiosità di occhi estranei. Sappiamo che poco più che ventenne ebbe un “flirt” con un ragazzo giunto dall’Irlanda e imparentato con una famiglia vicina, che però evidentemente non poteva permettersi quel matrimonio essendo Jane senza alcuna rendita, e che ripartì ben presto per tornare in Irlanda, dove poi in effetti sposò una donna ricca. Nei pochi frammenti di lettere rimaste la futura scrittrice non gli risparmiò alcuni accenni un po’ velenosi “non spenderei due centesimi per lui!”, ma anche qualche lacrima. Mai sapremo con certezza quanto e come gli avvenimenti della sua vita incisero nel suo mondo interiore e quanto e in che modo le sue conoscenze la ispirarono nei romanzi, tutti comunque incentrati su figure femminili alle prese con l’onnipresente necessità/scelta matrimoniale. Da adulta ebbe forse qualche corteggiatore, sicuramente una proposta di matrimonio che rifiutò e un altra a cui rispose impulsivamente di si, salvo pentirsene dopo una notte di riflessione che la portò la mattina seguente a rompere l’avventato fidanzamento. Forse ci fu anche un amore breve e sfortunato il cui nome rimane un mistero, comunque non si sposò mai, cosi come la sorella Cassandra, la quale dopo la morte prematura dell’uomo che avrebbe dovuto sposare da giovane, visse il resto della sua vita come fosse una vedova.

1359473324047Le prime pubblicazioni e i rapporti con gli editori, rapporti gestiti dal padre e alla morte di questo da un fratello, non andarono bene da subito e neanche lontanamente lasciarono presagire la fama che avrebbero avuto nel tempo, ma i relativi esigui pagamenti la stimolarono non solo per la conferma al proprio talento ma come possibilità che faceva sperare in un vero e proprio lavoro, che avrebbe aiutato a sostenerle nel periodo di ristrettezze economiche seguito alla morte del padre. La scrittura fu, forse per la prima volta nel mondo della scrittura femminile, un modo, allora ritenuto sconveniente forse anche dalla stessa Jane, per conquistare autonomia, e nonostante lo stesso re volle che un suo romanzo gli fosse dedicato, ella tenne la sua attività di scrittrice nascosta per la gran parte della sua vita. Le prime copie dei suoi romanzi furono pubblicati con uno pseudonimo o firmate semplicemente “by a lady”, solo con la pubblicazione postuma di “L’Abbazia di Northanger” e “Persuasione” il fratello Henry rivelò il nome dell’autrice al pubblico.

image1Col poco tempo che ha avuto a disposizione la Austen è riuscita a scrivere 6 magistrali romanzi ed alcune novelle. I romanzi, in ordine di pubblicazione, sono: Ragione e sentimento (Sense and Sensibility) del 1811; Orgoglio e pregiudizio (Pride and Prejudice) del 1813; Mansfield Park l’anno dopo ed Emma nel 1815; L’abbazia di Northanger (Northanger Abbey) e Persuasione (Persuasion) furono entrambi pubblicati postumi nel 1818. Nei Juvenilia sono invece stati raccolti gli scritti della giovinezza. 

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M.me de Staël, dall’Illuminismo al Romanticismo

ritratto di Madame de Staël

ritratto di Madame de Staël

Anne-Louise Germaine Necker, poi baronessa di Staël-Holstein, nota col nome di Madame de Staël (Parigi, 22 aprile 1766 – Parigi, 14 luglio 1817), è una scrittrice francese di origini svizzere, ed è sicuramente la donna più rappresentativa del periodo a cavallo tra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘800. Nel suo pensiero e modo di essere si accostano le eredità illuministe con una sensibilità pre-romantica, gli slanci passionali si uniscono a una dura autodisciplina frutto del ragionamento filosofico: è dunque eccezionale figura di conciliatrice e mediatrice in un epoca di passaggio, ed anche per questo destò diffidenza tra i suoi detrattori.

Si occupò per tutta la vita di letteratura, sia come teorica che come romanziera e storica. Fu una donna combattiva, “viva e triste” come si auto definì “una persona con la quale e senza la quale non si può vivere”, consapevole delle proprie doti e della propria cultura, che pure gli procurò tanti dispiaceri e danni, e che cercò di intervenire sugli eventi politici della sua epoca nonostante i ripetuti esili e le difficoltà dei suoi rapporti sentimentali. Espresse un nuovo desiderio di agire da protagonista, che ne fa un tipo di donna nuovo e diverso: “Scegliersi ogni giorno”, dice Germaine, citando Alfieri.

madame-de-sta-ebl-1766-1817-a-versatile-everettNacque a Parigi da una famiglia ricca ed influente – padre banchiere e madre animatrice di salon – di religione calvinista, non poteva ambire quindi a sposare un nobiluomo francese per cui le toccò uno svedese, che fu nominato ambasciatore in Francia così che ella cominciò a tenere il bollettino di notizie per il re svedese. Appassionata di politica, durante la Rivoluzione Francese assisté a tutte le riunioni dell’ Assemblea Nazionale, e cercò in tutti i modi di salvare la famiglia reale dalla morte. Fu arrestata nel 1791 mentre cercava di lasciare Parigi ed esiliata prima in Svizzera e poi in Inghilterra, poté tornare in Francia solo dopo la morte di Robespierre, e il suo salotto da cui si diffusero le idee romantiche tedesche in Francia, divenne il luogo di elaborazione delle teorie politiche che si proponevano di dare vita ad un nuovo stato egualitario, liberale, deista e pacifista. Le sue idee politiche d’altronde sono costantemente orientate verso il pensiero liberale e moderato, i benefici della rivoluzione, insomma, sarebbero da estendere solo alle persone istruite. In patria iniziò un tentativo di avvicinamento a Napoleone, che incarnava secondo lei l’uomo che poteva darle – non essendoci ancora delle donne in ruoli di gestione dello Stato – l’agio politico che desiderava avere in Francia, non rendendosi conto della antipatia che egli già Delphine, roman de Madame de Staël, en 6 volumes. Paris, 1803.nutriva per la sua personalità spiccata e per le sue opinioni troppo liberali. La situazione peggiorò dopo la pubblicazione del romanzo di successo Delphine, dove le idee espresse sul divorzio e sulle convenzioni sociali e l’elogio del protestantesimo risvegliarono le ire napoleoniche che la costrinsero ad allontanarsi per un nuovo esilio in Germania e poi, morto il marito ed il padre, in Italia, dove sulla scia delle sensazioni di viaggio e delle avventure sentimentali scrisse Corinne, il suo romanzo di maggior successo. La protagonista del romanzo è una personalità femminile nuova rispetto a quelle dell’epoca, sensibile ed eccezionalmente dotata “Di tutte le facoltà spirituali che devo alla natura, quella della sofferenza è l’unica che io abbia esercitata interamente” LE201dirà Corinne prima di morire. Di nuovo in svizzera animò un salotto europeo lontana dalla società mondana, frequentato però da Schlegel, de Saussure e Constant, con cui ebbe un rapporto controverso, poiché Constant aveva incontrato abbandonato la sua compagna Isabelle per lei, ma Germaine quando lo ricevette nel suo salotto dopo ciò, lo congedò con la frase “Signore, voi non mi convenite più del tutto”.

La sua opera filosofica più intensa De l’Allemagne, il cui manoscritto il prefetto di Parigi, ritenendo disdicevole che un popolo nemico della Francia venisse additato come modello per la letteratura, tentò invano di distruggere, fu pubblicata a Londra nel 1813. In questo periodo di angoscia ed esilio, preoccupata per la pubblicazione di De l’Allemagne, trovò un innamorato devoto e appassionato nello svizzero John Rocca da cui ebbe un figlio che tenne inizialmente segreto. Quando Napoleone abdicò, poté tornare in Francia, dove riprese le sue attività politiche, sposò Rocca e riconobbe il figlio avuto da lui. Morì nel 1817 di idropisia.

Le opere

Tra i massimi intelletti europei dell’epoca, molto istruita, di formazione cosmopolita, al centro di un sistema culturale per la prima volta europeo, letteratura politica e filosofia rappresentano per lei un continuum ideale, che ogni cultura nazionale sviluppa ed elabora storicamente. Abbiamo già detto dei suoi innovativi romanzi, che ebbero enorme diffusione, nelle sue principali opere filosofiche attua una graduale transizione dai modi del pensiero illuminista a quelli del romanticismo filosofico, non teoricamente ma sul piano concreto del confronto tra le culture nazionali, è in pratica l’inventrice dello studio letterario comparatistico. In De l’influence des passions sur le bonheur des individues et des Nations (1796) tenta di definire le passioni per confronti (ad es. gloria/vanità/ambizione); nel saggio sulla felicità che dovrebbe riuscire a conciliare i contrari – speranza senza timore, attività senza inquietudine, gloria senza calunnia, amore senza incostanza – viene esaminata l’idea che ne ha l’uomo e che svela quanto sia vana la sua ricerca, e come dunque si trasformi in infelicità a causa della sua irraggiungibilità. Analizza anche la rivoluzione francese distinguendola, unica tra i suoi contemporanei, dal successivo Terrore e dando, in ultimo, un giudizio positivo.

L’opera, assai vasta e complessa, De la Littérature, esamina l’influenza di religione, costumi e leggi sulla letteratura (che per la Steal comprende anche la Storia, la filosofia e lo studio morale) e all’opposto le influenze della letteratura sui costumi e le idee degli uomini. Nessuno prima di lei aveva mai affermato con tanta forza il legame tra letteratura e società, ed anche il collegamento tra libertà e grandezza letteraria, dove trova posto il giudizio positivo che da della rivoluzione francese in quanto rottura di una società statica e apertura di un contesto più favorevole alla letteratura: la libertà politica genera infatti libertà di scrivere e di creare. In questo testo analizza molte letterature ed opere, notando le differenze e i loro motivi, e prefigura una vera e propria teoria del romanzo, che secondo lei deve fornire una descrizione di tutte le passioni umane, odio orgoglio avarizia vanità, e non solo amore.

La sua opera più alta è probabilmente de l’Allemagne, diviso in 4 parti (sulla germania e i suoi costumi, letteratura ed arti, filosofia e morale, religione ed entusiasmo) dove le ultime due ci introducono alla critica romantica del pensiero illuminista, poiché se quest’ultimo è eccellente per la conoscenza del mondo esterno non è, come credeva Voltaire, adatto a farci intendere un oggetto enigmatico e complesso quale è il mondo interiore dell’uomo: “L’analisi non potendo esaminare che dividendo, si applica, come il bisturi, alla natura morta; ma è un cattivo strumento per imparare a conoscere ciò che è vivente”.

Biblio

Ghislain de Diesbach, Madame de Staël, Milano Mursia, 1991

“M.me d Steal: Revolution et Romantisme” in “Revolution francaise et romantismes europeéns, Ist. It. per gli Studi Filosofici, Napoli 1989

Madame de Staël, L’influenza delle passioni sulla felicità, Il Melograno, Roma 1981

 

 

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Le donne del Nuovo Mondo, formazione e identità culturale degli Stati Uniti d’America

Nel 1607 i primi coloni inglesi sbarcarono in America, nella terra battezzata Virginia in onore della regina Elisabetta d’Inghilterra. Erano un piccolo nucleo di protestanti separatisti che dopo un lungo e incerto viaggio miravano a creare, nelle incontaminate terre del Nuovo Mondo non colonizzate dagli Spagnoli, le condizioni di vita che l’intolleranza religiosa rendeva difficili in Europa. Nel 1620 i Pilgrim Fathers del “Mayflower” sbarcarono a Cape Cod, nel Massachussetts, e con mentalità razionalistica e ottimismo pragmatico cominciarono la massiccia colonizzazione puritana del New England. E’ qui che nel 1636 viene fondata la prima università americana, intitolata alla memoria di John Harvard, pastore protestante e primo benefattore del College.

Nel 1740 nelle Colonie del Nord America si contavano, per due milioni di coloni: 423 chiese puritane, 246 anglicane, 160 presbiteriane, 96 battiste, 95 luterane, 90 quacchere, 78 riformate olandesi, 51 riformate tedesche, 20 cattoliche, più svariate chiese pietiste e qualche comunità ebraica. Furono queste sette religiose il perno iniziale della cultura nord americana e dalle famiglie borghesi protestanti scaturì tutto il ceto politico e intellettuale dei nuovi Stati Uniti.

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Questa “civilizzazione” fu piena di ombre: i puritani esportarono anche qui la persecuzione contro le streghe (a Salem nel 1692 per opera del ministro puritano Cotton Mather molte donne furono processate e uccise per stregoneria); dal XVI al XVIII secolo fu perpetrata una colossale tratta degli schiavi negri (alla fine del ‘700 su 4 milioni di coloni nordamericani 760.000 donna-indian-3erano schiavi); per la conquista dell’Ovest le antiche tribù dei nativi americani e le loro ricche e diversificate culture, furono perseguitate e sradicate.

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La vita delle donne emigrate nelle Colonie americane dové comunque essere molto dura per tutto il Seicento. La prima figura femminile che emerge dalle cronache storiche dell’America coloniale è quella di Anne Marbury Hutchinson, maestra puritana nata nel 1590, emigrata nel Massachussetts nel 1634 che fu bandita dalla sua Congregazione a causa delle sue simpatie per il misticismo quacchero. Si ritirò così a vivere nella allora deserta New York, a long island, con i suoi 16 figli con i quali fu uccisa – ad eccezione di una delle figlie, Susanna, rapita e rilasciata alcuni anni dopo – in un incursione indiana nel 1647.

Anne Bradstreet - portrait

Anne Bradstreet – portrait

Tra le prime poetessa di cui si ha notizia c’è la puritana Anne Dudley Bradstreet (1612 – 1672) emigrata nel New England a 18 anni, pubblicò nel 1650 la sua prima raccolta di poesie in stile elisabettiano dall’altisonante titolo “The Tenth Muse lately sprung up in America” densa di riferimenti religiosi e dottrinali e intessuta di simboli e allegorie.

Nel 1655 Mary Fisher, predicatrice quacchera, guidò un gruppo di coloni che emigrò in America per sfuggire alle persecuzioni. Il vicegovernatore della colonia del Massachusetts, al loro arrivo ordinò che la passeggera fosse trattenuta a bordo. Fra i suoi effetti personali furono trovati libri che, si disse, contenevano “dottrine corrotte, eretiche e blasfeme”. I libri furono bruciati nel luogo di mercato, poi la donne venne imprigionata, denudata ed esaminata scrupolosamente per trovare prove di stregoneria. La finestra della sua cella fu sigillata e per cinque settimane fu costretta a stare al buio. Chiunque avesse osato rivolgerle la parola avrebbe rischiato una multa di cinque sterline. Infine Mary Fisher fu mandata a Barbados. Un cronista dell’epoca chiese ai magistrati: “Come mai l’arrivo di una donna ha spaventato le signorie vostre al pari di un formidabile esercito che invade i confini?”. Mary Fisher in seguito continuò la sua opera di predicatrice arrivando nel 1658 fino ad Adrianopoli dal sultano Maometto IV.

Rowlandson2Mary Rowlandson (1635 – 1678) fu catturata dagli indiani nel 1676 e rilasciata 11 settimane dopo, raccontò la sua esperienza nel memoriale “The Sovereignity and goodness of God togheter; being a narrative of the Captivity and Restoriation of Mrs. Mary Rowlandson”

Tra i memorialisti ricordiamo anche Sarah Kemble Knight (1666 -1727) – maestra di Benjamin Franklin – che raccontò il suo viaggio solitario da Boston a New York con un certo humor e notevole successo; tra le poetesse Jane Turrel, Ann Eliza Bleeker e Judith Sargent Murray; tra le politiche Ann Hulton, tra le lealiste che rimasero fedeli all’Inghilterra anche dopo la Rivoluzione Americana, dalle cui corrispondenze si ricavano molte e interessanti notizie sia sulla politica sia sulla vita quotidiana nell’America di allora.

Bio

L’America coloniale – R. Hofstadler, Mondadori, Milano

Le Sette e lo spirito del capitalismo (1906) – Max Weber, Rizzoli, Milano

Storia dei Quaccheri – J. Sykes, Sansoni, Firenze

Il ragno e l’aquila. Sei/Settecento americano – Tommaso Pisanti, Liguori, Napoli

Storia della letteratura americana – M. Cunliffe, Einaudi, Torino

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Due donne dell’illuminismo italiano: Eleonora de Fonseca Pimentel e Giulia Beccaria

Eleonora de Fonseca-Pimentel

Eleonora de Fonseca-Pimentel

Dedico un posto speciale ad Eleonora de Fonseca Pimentel, che con la sua amica Luisa Molines Sanfelice fu “afforcata” a Napoli in seguito al ritorno del re borbone Ferdinando (la prima fu impiccata il 20 agosto 1799 la seconda decapitata l’11 settembre dell’800, poiché era risultata incinta). Eleonora nacque a Roma il 13 gennaio 1752 da una nobile famiglia portoghese, ma visse a Napoli fin dall’età di 10 anni e divenne tra le promotrici della Repubblica napoletana, durata neanche sei mesi, dal febbraio al giugno del 1799, che sorse sugli slanci degli ideali rivoluzionari. La Repubblica partenopea nacque sull’onda di entusiasmo per l’arrivo dei francesi, ma quando questi, nel giugno del ’99 partirono verso il nord, la Repubblica fu rapidamente sconfitta e i suoi promotori, in numero di 99, uccisi.

Perquisizione in casa di Eleonora Pimentel Fonseca di Domenico Battaglia

Perquisizione in casa di Eleonora Pimentel Fonseca di Domenico Battaglia

Eleonora era molto intelligente e precoce, fin da piccola. A 18 anni invia a Metastasio, il poeta più famoso dell’epoca, i suoi primi componimenti, ed inizia con lui una corrispondenza durata fino alla morte del poeta. Altre sue importanti corrispondenze saranno con Voltaire, Goethe e Filangieri. Per i suoi meriti letterari viene ricevuta a Corte, dove le viene concesso un sussidio come bibliotecaria della Regina. Nel 1778 sposa il capitano Pasquale Tria de Solis, matrimonio infelice costellato da due terribili lutti, del primo figlio Francesco di appena otto mesi e, poco dopo, del secondo, per un aborto procurato dalle percosse del marito, dal quale riuscirà a separarsi solo nel 1786. E’ abbonata all’ Encyclopédie del Diderot e D’Alembert, e per questo il 5 ottobre del 1798, durante una perquisizione della sua casa, fu arrestata e portata nel carcere della Vicaria. Riacquista la libertà nei primi giorni del 1799, durante il periodo di anarchia popolare succeduto a Napoli dopo la fuga del Re e della Corte a Palermo. Partecipa alla conquista del forte di Castel Sant’Elmo e alla proclamazione, il 21 gennaio 1799, della Repubblica Napoletana “una e indivisibile”.

Il suo impegno politico per l’affermazione della libertà e per il progresso delle classi meno fortunate fu sincero e profondo, tanto da introdurre nascostamente, durante un ricevimento a Corte, alcune copie in italiano del testo della Costituzione approvata dall’Assemblea francese. Nel dicembre del 1792, quando giunge a Napoli la flotta francese per ottenere il riconoscimento della recente Repubblica Francese, la Pimentel è tra gli ospiti del comandante La Touche-Treville e finisce sui registri della polizia borbonica. Fu inoltre direttrice dell’organo di stampa ufficiale del governo repubblicano Il Monitore napoletano, primo periodico politico di Napoli, di cui furono stampati 35 numeri bisettimanali, dal 2 febbraio all’8 giugno, nato per diffondere gli ideali della rivoluzione e della neonata repubblica. Eleonora accetta, su invito del Governo Provvisorio, l’incarico di dirigere il foglio con atti e comunicati del Governo, ma in modo assolutamente indipendente. Nell’articolo di apertura del primo numero la donna si rivolge alla Francia come “Repubblica madre”, e denuncia la disinformazione ad opera di “pulpiti e pubblici editti” nei confronti delle idee illuministe. Si preoccupò inoltre di far redigere delle civili arringhe nel patrio vernacolo napoletano affinché il pensiero rivoluzionario potesse diffondersi nelle coscienze popolari. La sua vita avventurosa e la sua coraggiosa morte – non ottenne il privilegio della decapitazione in cambio della più vergognosa impiccagione – sono state magistralmente narrate dallo scrittore Enzo Striano in un romanzo in cui già nell’emblematico titolo “Il resto di niente” emerge la dolorosa presa di coscienza di un senso di fallimento espresso col tipico detto del sud “nada de nada”, in napoletano “’o rest’ e nient”.

Ritratto di Giulia Beccaria di Maria Cosway

Ritratto di Giulia Beccaria di Maria Cosway

Tra le donne illuministe italiane dobbiamo ricordare anche Giulia Beccaria Manzoni (1762-1841) figlia di quel Cesare Beccaria autore di Dei delitti e delle pene e madre di Alessandro Manzoni, vissuta nel cuore dell’ambiente illuminista milanese e per dieci anni amante di Giovanni, il più giovane dei fratelli Verri. La sua infanzia fu quella delle molte figlie femmine di buona famiglia, poca istruzione e, alla morte della madre nel 1774, l’affidamento al Collegio delle monache agostiniane, dal quale uscì nel 1780 grazie alle pressioni di Verri sul padre Cesare. Nel 1782 si provvide a farle fare un matrimonio d’interesse con Pietro Manzoni, gentiluomo di provincia di 26 anni più anziano di lei, matrimonio che non interruppe il suo legame con Giovanni Verri, per cui, senza entrare nei particolari dell’intricata vicenda, basta ricordare che

Giulia Beccaria e Alessandro Manzoni - Appiani

Giulia Beccaria e Alessandro Manzoni – Appiani

Alessandro Manzoni è figlio in realtà di quest’ultimo. Giulia Beccaria è una figura che si scontra con tutte le ipocrisie e le incongruenze di cui era vittima la donna nella società borghese del tempo, anche in ambienti illuminati: ottenuta nel 1792 la separazione da Pietro Manzoni sposato contro il suo intento, trascurata dal padre e priva di eredità, separata e con un figlio, che per buona parte dell’infanzia fu cresciuto dal padre adottivo, e in rotta col Verri, Giulia si ritroverà in una ben strana condizione di libertà. Si legò in seguito col nobile e ricco Carlo Imbonati che, contro la morale corrente, si unì a lei come convivente, e col quale si trasferì a Parigi nel 1797 dove divennero punto di riferimento per tutti gli intellettuali italiani esuli a causa del ritorno austriaco. Alla morte dell’uomo Manzoni scrisse il famoso carme “In morte di Carlo Imbonati” mentre Giulia attraversò una profonda depressione. Nel 1810 insieme al figlio Alessandro ed a sua moglie Enrichetta Blonder si convertì al cattolicesimo giansinista. Morì, dopo aver vissuto a pieno l’epoca illuminista e il passaggio al romanticismo risorgimentale, all’età di 79 anni. Il figlio scrisse per lei un epitaffio con tono solenne e distaccato, consacrandola “matrona veneranda” di un nobile tempo andato.

info bio:

Le donne in Italia. Diritti civili e politici, Liguori, Napoli

Giulia Manzoni Beccaria, Rusconi, Milano

Eleonora de Fonseca Pimentel, il Monitore Napoletano del 1799. Articoli politici e scritti vari, a c. di Benedetto Croce, Laterza

 

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Le donne dell’illuminismo Italiano (parte I)

Nelle nazioni cattoliche i mutamenti nel rapporto tra Stato e Chiesa, che in Francia e in Inghilterra ebbero come protagonisti la classe borghese e il basso clero, furono veicolati dal dispotismo illuminato dei sovrani, saldato a tendenze di riforma “democratica” del clero. L’Italia, attraverso l’influsso dell’assolutismo austriaco, fu laboratorio di questo

Maria Teresa d'Austra

Maria Teresa d’Austra

rinnovamento. Maria Teresa d’Austria (1717-1780) come già suo padre Carlo VI, avviò una politica di separazione tra la sfera statuale e quella ecclesiastica, ispirata a principi volti a rafforzare la monarchia assoluta, e questo orientamento giunse all’apice con i suoi figli Giuseppe II e suo fratello Pietro Leopoldo II Granduca di Toscana; “per beneficio della religione e della carità” la chiesa fu sottoposta a fiscalità, furono soppressi ordini religiosi contemplativi, fu dimezzato il clero regolare, semplificata la vita religiosa e decretata la tolleranza verso altre religioni. Lo Stato laico incamerò beni ecclesiastici dando vita a istituzioni laiche di carità e a nuove istituzioni scolastiche. Un apporto decisivo a tali iniziative venne dal Muratori con le sue proposte di riforma interna della chiesa.

Il Giansenismo conobbe una nuova fioritura, e proprio dal tronco dell’Illuminismo cattolico si sarebbe formata una delle componenti più significative dell’illuminismo italiano (ricordiamo la famosa conversione del Manzoni e della sua famiglia di cui si parlerà in seguito). L’illuminismo liberale e radicale ebbe in Italia un’impronta giuridico-politica che pose per lo più fuori quadro le questioni religiose a vantaggio di uno spirito riformatore di carattere economico-giuridico, con due centri focali che furono Milano e Napoli; a milano ruota attorno all’Accademia dei Pugni fondata dai fratelli Pietro e Alessandro Verri, a Napoli ebbe come precursore Giambattista Vico e fu animato, tra gli altri, dall’abate Antonio Genovesi e in campo giuridico da Gaetano Filangieri e Mario Pagano, quest’ultimo vittima della repressione seguita alla rivoluzione napoletana di stampo giacobino del 1799.

Le linee principali dell’illuminismo femminile italiano non si discostano da quelle di altri paesi europei: ampliamento della cultura scientifica e della partecipazione accademica e rivendicazione di eguali diritti in sede politica.

Anna Morandi Manzolini

Anna Morandi Manzolini

In campo scientifico abbiamo numerose donne all’università di Bologna, tra cui ricordiamo Anna Morandi Manzolini (1716-1778) studiosa di astronomia, Lorenza Maria Catarina Bassi (1711-1778) studiosa di matematica e filosofia e insegnante di fisica, Maria Delle Donne professore di ostetricia e Maria Gaetani Agnesi (1718-1799) intelletto precoce e versatile (la prima pubblicazione all’età di 21 anni fu una raccolta di saggi di logica filosofia e scienze naturali) che scrisse

Frontispizio delle "Instituzioni_analitiche"del' Agnesi

Frontispizio delle “Instituzioni_analitiche”del’ Agnesi

le Istituzioni analitiche ad uso della gioventù (1748), che le consentirono di ottenere l’insegnamento di matematica e storia naturale all’università bolognese.

Diamante Medaglia Faini

Diamante Medaglia Faini

Nel dibattito settecentesco sul ruolo della donna nella cultura, a battersi per il diritto ad una istruzione superiore anche in campo scientifico furono Giuseppa Eleonora Barbapiccola, filosofa e traduttrice, la poetessa Diamante Medaglia Faini,  Aretafila Savini de’Rossi di Siena, che scrisse una “Apologia in favore degli studi delle donne” e Diamante Medaglia Faini di Brescia, che prese pubblicamente posizione per l’allargamento delle presenze femminili nel mondo scientifico.

Rosalba Carriera

Rosalba Carriera – autoritratto

Ruolo importante nella cultura dell’epoca fu svolto dalla veneziana Elisabetta Caminer Turra giornalista per L’Europa letteraria e il Giornale enciclopedico e traduttrice di Moliere ed altri autori francesi, mentre tra le artiste ricordiamo la pittrice veneziana Rosalba Carriera, specializzata in miniature e ritratti.

Nel 1794 con lo pseudonimo di Rosa California “nobildonna romana” usci il libro “Breve difesa dei diritti delle donne” pubblicato nello Stato Pontificio, in cui si respira una certa aria conservatrice ma si ribadisce il rifiuto di ridurre i caratteri propri delle donne alla loro conformazione fisica e biologica, tendenza che certi Ideologi francesi lasciavano intravedere, e l’ingiustizia di giudicare moralmente le donne basandosi sulla loro condizione, conseguenza di un marcato stato di minorità sociale; Rosa California inveisce contro “I donneschi difetti” del Pasi – che ne enumera 35 – ricordando che anche gli uomini del secolo illuminato avevano spesso dato una pessima prova di se stessi.

Nel 1796 Carolina Lattanzi leggeva, all’Accademia di Mantova, “Sulla schiavitù della donna” poi dedicata alla “cittadina Rose Josephine Bonaparte”, denunciando come le religioni avessero costretto, presso tutti i popoli del mondo, le donne a restare in posizione di subalternità: in india bruciata sul rogo del marito deceduto, in occidente perseguitata come strega e rinchiusa nei conventi; il Diritto di famiglia le negava il divorzio, la escludeva dall’eredità, per loro “il più dolce dei legami viene trasformato nella più pesante delle catene” e se gli uomini lottavano contro un tiranno, le donne lottavano contro mille tiranni: i padri e i mariti, concludendo con veemenza e passione che non la natura, ma gli uomini hanno sempre ostacolato l’emancipazione della donna.

Sempre nel 1797 fece la sua apparizione a Venezia, a firma Cittadina I.P.MLa causa delle donne”, testo che propone un’apologia della natura, tipico tema illuminista, e continua con il rovesciamento simmetrico della tesi maschilista dell’ “inferiorità della donna”, e cioè “l’eccellenza della donna” creata dopo Adamo e quindi più perfetta, rovesciamento provocatorio, condotto sul piano ideologico-morale, senza alcuna pretesa di giustificazione biologista o metafisica.

Eccone uno stralcio: “Quando fu creato il primo uomo voi sapete quanto egli da principio fosse infelice in mezzo alle sue maggiori felicità. Non vi è stato uomo di più sana e perfetta complessione, non vi è stato possidente di più copiose e meno invidiate ricchezze, non vi è stato sovrano di più vasti e sicuri domini: eppure egli non era né contento né soddisfatto, egli era ancora infelice. Ma cosa gli mancava per una perfetta felicità? Gli mancava il suo simile, il suo eguale. Egli aveva tutti gli organi della favella, e non trovava persona con cui potesse ragionare e parlare. Egli sentiva nascersi nell’anima mille pensieri, mille riflessioni, e non trovava un altro uomo a cui poter palesare con interno piacere i prodotti della sua mente. Egli era internamente commosso ed agitato e non trovava nessuno a cui poter comunicare secondo il suo naturale desiderio gli affetti del proprio cuore. Egli aveva nella sua macchina una potenza generante e produttrice e non trovava il modo di porla in esercizio. Egli si sentiva inclinato alla società e fratellanza e non trovava un simile con cui potersi unire e fraternizzare. Egli aveva nella sua macchina una potenza generante e produttrice e non trovava il modo di porla in esercizio. La costituzione intrinseca di questo uomo richiedeva la compagnia d’un’ altra creatura ragionevole la quale fosse nel tempo stesso differente da lui e uguale a lui. Gli organi della generazione, ed i naturali affetti che l’accompagnano, richiedevano senza dubbio una creatura differente; ma tutte l’altre passioni ed inclinazioni dirette alla società richiedevano una creatura uguale. Che fece l’Autor della Natura per soddisfare tutti questi bisogni? Diede all’uomo per compagna la donna, ed ecco meravigliosamente equilibrata nella donna e nell’uomo la differenza e l’uguaglianza: cioè la differenza de’ sessi e l’uguaglianza delle nature. Eccettuate dunque le potenze produttrici, e tutto ciò che con esse ha necessaria relazione, l’uomo e la donna nel rimanente sono per natura loro egualissimi. Sapientissimi cittadini, potete voi negare questa naturale uguaglianza? Ma fu conceduta all’uomo la superiorità e alla donna fu intimata la soggezione. Non sentiamo con meraviglia, che ci venga rinfacciata questa disuguaglianza da uomini filosofi, e sostenitori de’ diritti naturali. Non sanno forse codesti uomini millantatori, che la superiorità da loro vantata non fu effetto della natura ma piuttosto della colpa? Non sanno che siccome all’uomo furono imposte altre pene, che dovevano a lui più rincrescere per la sua maggiore cupidigia, ed infingardaggine, che lo inclinano a molta ambizione ed a poca fatica, così alla donna furon dati i castighi dell’infermità e delle doglie, perché dovevan riuscirle più duri per la sua maggior delicatezza, che la rende più sensibile alla soggezione ed al dolore? Non sanno che questa vantata disuguaglianze è tutta teologica e fuori dell’ordine fisico dell’intrinseca natura? Non sanno che la nostra pretesa soggezione non comprende tutte le donne ma solamente le spose? Non sanno che questa superiorità rinchiusa ancora in questa maniera fra le strette mura della casa vuolsi credere necessariamente limitata, anziché non distrugga quella fraternità e uguaglianza che fu opera della natura, ed a cui per conseguenza si le le donne che gli uomini hanno tutti nella stessa maniera un ugual diritto naturale?”

Nel campo conservatore nel 1799 prese posizione a favore degli austriaci la bolognese Clotilde Tambroni (1758-1817) docente di Lingua Greca all’Università fino a che non fu sollevata dalla carica poiché rifiutò di prestare giuramento contro il re e gli aristocratici e, sempre nello stesso anno, a Venezia, apparve l’anonimo libello “L‘impossibile, ovvero la riforma delle donne nella loro educazione” dove si individuava il potenziale sovversivo di una rivolta femminile che mirasse a scardinare l’ordine sociale e dove quindi si proponeva una sorta di “patto ragionevole” in cui le donne, in cambio di più equi diritti, cooperassero al mantenimento della stabilità sociale.

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Un’illuminista inglese: Mary Wollstonecraft

La parte centrale del XVII secolo fino alla Gloriosa rivoluzione del 1688 fu caratterizzata in Inghilterra dalla radicalizzazione dei movimenti spirituali che erano scaturiti dalla Riforma anglicana e che giudicavano incompiuto il processo di riforma: primi e più numerosi ci furono i Puritani al seguito del loro carismatico leader Oliver Cromwell, poi i Quaccheri e, nel Settecento, i Metodisti, tutti movimenti che furono coinvolti in vario modo nella colonizzazione del nuovo mondo americano.
Sul versante opposto al Teismo e al radicalismo protestante, si osserva la corrente del Deismo inglese, il cui apice sarà segnato dalle opere di David Hume e al cui sviluppo è legata la formazione dell’Illuminismo nel paese e la nascita tra i cosiddetti Liberi pensatori del contraddittorio concetto di religione naturale o razionale.

Marywollstonecraft

Un importante illuminista anglosassone, che può essere considerata tra le fondatrici del pensiero femminista, fu Mary Wollstonecraft, nata a Spitafield, sobborgo industriale di Londra, il 27 Aprile del 1759 da una famiglia di imprenditori abbastanza agiata che però ebbe problemi finanziari e nella quale fu sperperata la prevista spesa per l’educazione della figlia, per questo ella imparò tardi a leggere e scrivere, in una day school a 14 anni e si formò nelle letture grazie all’aiuto di un’anziana coppia, i Claire, figure genitoriali che la orientarono verso Shakespeare Milton e Pope.

Dal 1777 al 1783 visse con l’amica di sempre Fanny Blood e con la sorella Eliza, separata dal marito e madre di una figlia, con le quali condivideva la difficile situazione economica facendo lavori artigianali. Mary tentò anche di aprire una scuola, ma senza successo. Si trasferì a Newington Hill, fuori Londra, e li conobbe Richard Price, un intellettuale non conformista che le fece conoscere i testi di Rousseau e di Locke. Nel 1785 fece un viaggio a Lisbona e li assistette alla morte per parto dell’amica Fanny.
Attenta osservatrice della condizione femminile del tempo, pubblicò il suo primo scritto “Thougths on the Education of daughters” che nonostante la sua educazione anglicana risentiva degli influssi di Rousseau, di cui rifiutava le conclusioni ma di cui accettava la complessità e la finezza di analisi. Dopo una breve permanenza in Irlanda come istitutrice tornò a a Blackfriars, Londra nel 1788 e prese a frequentare l’ambiente intellettuale che si riuniva nella Libreria di Johnson. Li conobbe molti artisti e scrittori tra cui Colleridge, Wordsworth, Godwin, il pittore Fussli e l’incisore William Blake, che su proposta di Johnson bb514.3.1.com.100illustrò un libro di fiabe per bambini scritte da lei: Original Stories from Real Life; with Conversations, Calculated to Regulate the Affections, and Form the Mind to Truth and Goodness (qui tutte le illustrazioni). Infiammata per gli eventi rivoluzionari in Francia, Mary scrisse nel 1790 A Vindication of Rights of men” in cui prendendo posizione contro i conservatori collegava la rivoluzione del 1688 con quella del 1786. In questo libro Mary critica l’iniqua divisione della ricchezza tipica della sua società contemporanea, il maggiorascato che penalizzava le ragazze e la concezione coattiva del matrimonio da lei definito “a legal prostitution”. Sul piano politico rivendicava il diritto di scelta popolare su governanti e re. Nel 1792 pubblicò la sua opera principale A Vindication of right of Woman, testo che si inserisce a pieno titolo nella letteratura politico filosofica del periodo rivoluzionario: tra la dichiarazione d’indipendenza americana e la dichiarazione dei diritti francese. Mary voleva, come pure Olympe de Gouges in quegli stessi anni, proporre le istanze di liberazione e parità sociale e politica delle donne nel contesto più generale del programma illuminista dei Diritti dell’Uomo. Per la Wollstonecraft l’ideale dell’emancipazione femminile e della parità non si poneva come valore in se, ma andava calato nel principio del diritto naturale moderno. Scriveva polemicamente a Tallyrand che ancora nel 1791 voleva escludere le donne dall’istruzione pubblica: “Ma se le donne devono essere escluse dalla partecipazione dei diritti naturali dell’umanità, dimostrate in primo luogo, ad evitare l’accusa di ingustizia e incoerenza, che esse mancano di ragione, altrimenti questa pecca della vostra nuova costituzione mostrerà sempre che l’uomo deve, in qualche modo, agire da tiranno, e la tirannide, in qualsiasi parte della società levi la sua faccia di bronzo, mette in pericolo la moralità”. Le donne per la Wollstonecraft devono uscire dalla loro gabbia dorata, dal quel limbo formalistico della “femminilità” che è l’altra faccia dell’emarginazione e della subordinazione. Istruzione, diritti politici, responsabilità personale, parità economica, razionalità e virtù, libertà e felicità, sono gli ideali di questa pensatrice che arriva a proporre polemicamente una castità femminile demistificatrice dei rapporti ambigui con l’uomo. Il catalogo dei mali delle donne del suo tempo, di quelle borghesi in particolare, che pure avrebbero possibilità di raggiungere cultura e virtù, sono stigmatizzati in modo davvero duro e tagliente: non può darsi vera moralità (e religiosità) se l’intelletto è debole e deprivato; la superstizione, i maghi e gli indovini sono del tutto contrari alla ragionevole religione cristiana; frivolezza e sentimentalismo sono indotti dalla letteratura romanzata a loro destinata; il desiderio di vestire e ingioiellarsi rende le donne simili ai selvaggi africani; l’attaccamento morboso al marito deriva dalla subordinazione intellettuale mentre l’incapacità di educare bene i figli è propria delle donne come degli uomini, soprattutto l’ignoranza, nel suo senso più enfatico, è la radice dell’inferiorità e instabilità psichica della donna. La mente femminile è stata relegata dalla tirannide maschile in un libro di fatuità a cui le donne, perlopiù, si sono adattate, ma le donne che reclamano diritti devono sapere che ad essi corrispondono doveri, e che la ribellione contro la dominazione maschile deve svolgersi in nome di valori universali e l’educazione femminile va completamente stravolta e resa uguale a quella maschile. Il suo fine è la creazione di una “nuova civiltà” in cui l’umanità sia virtuosa e felice, grazie alla via di accesso aperta dalla Ragione.

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Sempre nel 1792 Mary partì per la Francia col proposito di scrivere una Storia della Rivoluzione, assistendo anche, tra lo sgomento e l’angoscia, alla decapitazione di Luigi XVI. Da questa esperienza scaturì il primo volume di A historical and moral view of the origin and progress of the french revolution, in cui prevale, a differenza di quello che si potrebbe pensare, un resoconto in cui non ci sono tracce delle presenze femminili, pur numerose, allinterno del moto rivoluzionario. Alla sua vita intellettuale si intrecciano le dolorose vicende legate alla relazione con un uomo d’affari americano conosciuto in Francia, Gilbert Imlay, che l’avrebbe poi lasciata a Le Havre con una figlia, Fanny, e che l’avrebbe spinta, rientrata in Inghilterra, a tentare il suicidio per due volte nel 1795. Anche le leggi repressive di quegli anni contro i radicali minacceranno Mary e il suo ambiente intellettuale. L’anno dopo iniziò una relazione col filosofo radicale William Godwin col quale, essendo in attesa di un figlio, decise di sposarsi pur negando valore positivo all’istituto del matrimonio. Nell’agosto del 1797 nacque la piccola Mary Godwin, ma purtroppo la madre morì quindici giorni dopo per setticemia in seguito al parto e il filosofo, dopo la sua morte, pubblicò le sue Memorie. Anche la piccola Mary fu donna di genio e di scrittura (e di lei parleremo ancora); nel 1816 sposò il poeta Percy Shelley e nel 1818 scrisse la sua opera più famosa, forse la più famosa di tutto il secolo, il Frankestein.

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Le donne della Rivoluzione francese

Il contributo delle donne alla Rivoluzione francese del 1789 avvenne su due livelli: quello popolare e di massa delle donne coraggiosamente presenti alle sommosse e alle lotte per il pane e quello intellettuale, rappresentato in genere da donne borghesi, che si espresse nella partecipazione attiva alle sedute dell’Assemblea Costituente, nella produzione di scritti, nella creazione di giornali e circoli femminili impegnati nella lotta per i diritti civili e politici delle donne, entrambe pagando spesso con la morte. Le

Club Patriotique de Femmes

Club Patriotique de Femmes

donne intellettuali aderirono in genere alle idee di libertà e uguaglianza che la borghesia opponeva ai privilegi della nobiltà e del clero, alcune senza aggiungervi una connotazione “femminista”, come ad esempio M.me de Roland e M.me de Steal – che concretizzò la sua partecipazione con una serie di scritti sui problemi e gli eventi rivoluzionari ispirati dal suo liberalismo- altre affrontando tematiche specificatamente femminili, tra cui Olympe de Gouges, Theroigne de Mericourt – che aveva proposto la formazione di un battaglione militare femminile per partecipare alla guerra – Etta Palm, olandese di aria girondina, Claire Lacombe, giacobina rivoluzionaria, tutte vittime della repressione di Roberspierre – che fece chiudere clubs e giornali femminili, impedendo le riunioni di donne.

Il tema dell’oppressione femminile fu sentito anche a livello non elitario, come testimoniano alcuni dei Chaiers de doleances diffusi per la convocazione degli Stati Generali, che denunciavano le ingiustizie subite dalle donne. Sul piano concreto poche ma importanti prime conquiste derivano dalla rivoluzione francese: la legge sul divorzio, l’ammissione a testimone nel processi civili, l’abolizione del maggiorascato che riservava ai figli maschi la successione ereditaria. Fu poi la prima volta che le donne (che comunque in Francia non votarono fino al 1945) presero pubblicamente e direttamente parola, come faceva M.me de Roland, nelle assemblee, in luoghi prima esclusivamente riservati alla parola maschile, lavorando e scrivendo i discorsi insieme ai compagni politici, cosa impensabile fino a pochi anni prima.

Marie-Olympe-de-GougesOlympe de Gouges – pseudonimo di Marie Gouze – nacque nel sud della Francia nel 1748 da un umile famiglia e morì ghigliottinata nel 1793. Rimase vedova molto presto, e con un figlio, alla vigilia della rivoluzione si trovava a Parigi, dove scriveva testi per la Comédie Francaise, e la sua attività intellettuale durante gli anni di fuoco fu febbrile: articoli, pamphlet, manifesti opuscoli e discorsi. Secondo gli storici fondò molte delle “società fraterne di ambo i sessi” che sorsero in Francia tra il 1790 e il 1791 ed è ricordata in particolare per la famosa Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina dedicata alla Regina Maria Antonietta da lei giudicata una oppressa come le altre. L’intento della dichiarazione era di rendere consapevoli le donne dei diritti che venivano loro negati, affinché la donna divenisse cittadina a tutti gli effetti. La donna nasceva libera e uguale all’uomo, possedeva gli stessi inalienabili diritti: libertà, proprietà, e diritti di resistenza all’oppressione. Nel 1792 Olympe attacco Robespierre pubblicamente, definendolo un tiranno sanguinario. Costantemente oscillante a secondo degli eventi nelle sue idee politiche, rivoluzionaria nel”89, difese il Re quando fu imprigionato e repubblicana nel ’91 quando questi fuggì. Fu messa a capo di una parte controrivoluzionaria da La Fayette e quando al processo del Re si offrì per difenderlo decretò la sua fine, e fu ghigliottinata il 3 novembre 1793 “per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso e per essersi immischiata nelle cose della Repubblica” lo stesso giorno di Maria Antonietta e insieme a M.me de Roland: una tragica giornata di terrore antifemminile.

Madame_Roland-04Manon Philipon poi M.me de Roland (1754-1793) figlia di un incisore, aveva una buona educazione, sposò un un ispettore del governo francese più anziano di lei, col quale si trasferì a Parigi, e che presto divenne ispettore girondino. Manon partecipava alle riunioni facendosi notare per la sua eloquenza, e per il suo temperamento e passione politica rivoluzionaria ebbe un ruolo catalizzatore nei momenti decisionali. Morì ghigliottinata durante il Terrore e lascio delle Memoire scritte in carcere.

Theroigne de Merincourt

Theroigne de Mericourt

 

Théorigne de Méricourt (Liegi 1762 -1817) fondo nel 1790 il clubs “les amis de la loi”, si schierò coi girondini, partecipò quando il popolo s’impadronì delle Tuleries e vi tenne il Re impriggionato, condanno i primi massacri a Parigi e Versailles, ruppe nel ’92 con Roberspierre.

Theroigne de Mericourt whipped by a group of Parisian Jacobin women

Theroigne de Mericourt whipped by a group of Parisian Jacobin women

Sempre in quell’anno arringò le donne del faubourg Saint-Antoine affinchè prendessero le armi a cui avevano diritto per natura e per legge, provocando la reazione negativa degli uomini del fouburg che dichiararono “rincasando dal lavoro preferiamo trovare la casa in irdine anziché vedere le mogli di ritorno da un assemblea” il 15 maggio del ’93 un gruppo di donne la denudò e fustigò pubblicamente e da quel giorno, per 24 anni, Théroigne rimase preda di una violenza forma di pazzia.

Etta Palm, baronessa olandese, si stabilì in Francia e inizialmente svolse attività di spionaggio per la monarchia, ma ben presto fu sedotta e si dedicò totalmente alla causa rivoluzionaria. Fu di area Girondina, e pubblicò un Opera per domandare all Assemblea nazionale un’educazione per le giovani e la legge sul divorzio.

BWM153218Claire (Rose) Lacombe, ex attrice, rivoluzionaria giacobina fondò nel 1793 la Société des republcaines Revolutionnaires composta di sole donne, schierata con gli Arrabbiati contro i Girondini, resasi sospetta per la sua protesta contro il trattamento inflitto ai prigionieri politici, fu arrestata nel ’94 ma non risulta in nessun documento che fu ghigliottinata, probabilmente tornò ad esercitare la professione di attrice.

Biblio

Jules Michelet Le donne della Rivoluzione Bompiani Milano

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L’illuminismo parte II – Le femmes philosophes del Settecento francese

In Francia il XVII secolo era stato caratterizzato dal pensiero cartesiano, gli intellettuali della transizione si trovarono quindi a confronto con le diverse tendenze, razionalistiche e gianseniste, presenti all’epoca. Alcuni prosecutori della critica libertina approdarono alla tesi ateistica: la religione è impostura, espediente politico per sottomettere l’umanità all’autorità di una casta; altri come Locke e poi Voltaire, la ritennero utile base per la convivenza civile. Nel 1710 fu distrutto il Monastero di Port-Royal ma i giansenisti si rigenerarono e trasferirono la loro sede spirituale prima in Olanda e poi in Italia.
Diderot e D’alembert, dal canto loro, col nuovo metodo scientifico sistemarono il sapere di allora in modo enciclopedico, affrancando definitivamente il razionalismo dalla mentalità metafisica; col pensiero di Rousseau l’illuminismo fuse poi la prospettiva intellettuale con un ipotesi di riforma politica, che si attuò come espressione di “volontà generale” con la sanguinosa Rivoluzione Francese.

La circolazione delle idee avveniva nei salotti, ed è infatti qui che le idee illuministe si diffondono molto velocemente in Francia. Le donne che animavano questi incontri furono le amiche e le compagne dei philosophes, recependo e talora modificandone il pensiero, in molti casi contribuendo alla stesura delle loro opere; dalle disquisizioni sulla galanteria e le buone maniere si passa quindi alle discussioni scientifiche e filosofiche. Diderot era l’animatore del salotto di M.me d’Epinay, Voltaire l’idolo di quello di M.me du Chatelet e poi di quello di M.me du Deffand, ecco le più influenti e fondamentali donne dell’illuminismo francese pre-rivoluzionario:

M.me de Tencin

M.me de Tencin

Claudine Alexandrine Guerine de Tencin (1682-1749)
Fu educata e prese i voti nel convento di Montfleury, che era tutt’altro che un luogo austero ma anzi quasi un Salotto, dal quale ella riuscì comunque a sottrarsi facendosi annullare i voti grazie ai suoi potenti protettori, e amanti, tra cui il cardinale Dubois, il primo ministro di Francia e addirittura il reggente Filippo d’Orleans. Unico suo amore fu però il cavaliere Destouches, da cui ebbe un figlio che abbandonò, come allora spesso accadeva, davanti a una chiesa. Il bimbo, battezzato Jean Le Ronde, diventerà il famoso enciclopedista d’Alembert.
Nella sua rocambolesca vita M.me de Tencin fu anche accusata da un suo amante, prima del suicidio accuratamente preparato da lui stesso, e fu quindi arrestata e rinchiusa nella Bastiglia, ma scagionata al processo. Il suo vivace salotto, “My menagerie”, era animato da Fontanelle e da Montesquieu, le “mes betes” come chiamava i suoi ospiti. Scrisse ella stessa alcune opere tra cui il romanzo “Le memorie del conte di Comminges” ritenuto un capolavoro dell’epoca.

Madame Geoffrin.

Madame Geoffrin.

Marie Therese Rodet poi M.me de Goffrin (1699-1777)
Di famiglia ricca e borghese, amica della Tencin, le succedette alla sua morte, raccogliendo molti dei suoi frequentatori nel suo salotto come loro guida e mentore, era considerata giudiziosa rispettabile e religiosa e congedò dai suoi ritrovi, nel 1776 un anno prima della sua morte, Diderot e D’Alembert per le loro idee troppo materialistiche.

433px-MarieduDeffand

Marie Anne de Vichy Charmond poi M.me du Deffand (1696-1780) nobile, ma di fortune modeste, fu educata in un collegio laico a Parigi dal quale uscì per sposare un uomo, suo cugino marchese de la Lande, che non aveva mai visto prima. Rappresentò l’esempio più tipico e interessante di quella “malattia morale” diffusa tra le donne più abbienti del diciassettesimo secolo: l’ennuit o noia, diffusa in tutti i boudoirs e che in alcune donne prendeva la vorma di un male fisico: i vapeurse. Dal carattere ironico e indipendente, fu l’amante del Presidente della Convenzione, Hérault, rivoluzionario giacobino a cui rimase legata da una profonda amicizia. Nel 1722 conobbe Voltaire la cui amicizia per tutta la vita è testimoniata dalle lettere, alcune delle quali molto critiche verso Russoe. Scacciata dal marito per i suoi numerosi amanti si rifugiò nella mondanissima Sceaux. Nel 1747 aprì il suo Salon dove accolse i Philosophes della prima generazione. Particolarmente angosciata per una progressiva cecità da cui era affetta, adottò la giovane M.lle de Lespinasse, figlia illegittima di una nobildonna, con la quale poi troncò ogni rapporto dopo essersi accorta che la giovane aveva organizzato a sua insaputa un salotto che si teneva un ora prima del suo e che dirottava molti dei suoi ospiti da lei. Fu in questo periodo che conobbe Walpole, l’autore anti-illuminista de “Il castello d’Otranto” che, nonostante la differenza d’età, amò appassionatamente e di nascosto, mai ricambiata.

Madame Du Châtelet

Madame Du Châtelet

Gabrielle Emilie le Tonnelier de Breteuile poi Marchesa du Chatelet (1706-1749)
Frequentò la corte, la regina in particolare, e fu amante del duca di Richelieu. Appassionata di scienze, intraprese gli studi superiori di fisica e matematica. Dopo otto anni di noioso matrimonio, iniziò una relazione con Voltaire per cui lasciò il marito e la vita di corte; fu una relazione matura basata sulle affinità intellettive più che sentimentali e con lui si trasferì a Cirey, in Lorena, convivendo per circa 15 anni in una casa-laboratorio che si riempì come una biblioteca dei loro libri e, per gli interessi di lei, divenne ben presto il centro di promozione della fisica Newtoniana. Il testo di Voltaire “Elements de la philosophie de Newton” fu scritto in realtà con lei, in particolare per la parte riguardante l’ottica, ma fu attribuito solo al famoso filosofo. Tradusse numerosi testi e scrisse alcuni libri di fisica e matematica tra cui “Istituzioni di fisica” tentando di apportare alle tesi Newtoniane una base metafisica che lei riteneva indispensabile, ma il suo revisore Koening affermò di aver dettato lui quell’opera e solo alla morte della donna che le fu riconosciuta la maternità del testo. Scrisse anche un trattato “della Felicità”, tema caro agli illuministi, dove emerge un ideale di felicità terrena che può essere sintetizzato con una sua stessa affermazione “Bisogna cominciare a dire a noi stessi che non abbiamo altro da fare a questo mondo che procurarci sensazioni e sentimenti piacevoli”. Dopo il lungo legame con Voltaire, ebbe una relazione con il Marchese di Saint-Lambert e morì mettendo al mondo un figlio concepito con lui.

Julie Jeanne Eleonore de Lespinasse (1732-1776)
Nacque nel 1732 da un unione adulterina e, adottata ed educata da M.Me du Deffand, si trovò a 32 anni scacciata da quest’ultima. Dopo una tenera amicizia con D’Alembet si legò allo spagnolo Marchese di Mora e poi al Marchese di Guibert. Il suo salotto, dove si discuteva senza ulteriori intrattenimenti poiché cene e pranzi non erano alla portata della modesta rendita della donna, divenne presto il rifugio degli enciclopedisti.

Julie_de_Lespinasse

Julie de Lespinasse

Louise Florence Petronille de Tardieu D’Esclavelles poi M.me d’Epinay (1726 -1783) di nobile famiglia normanna, ebbe un infelice matrimonio testimoniato nelle sue “Memoires”: il marito la tradiva e per sentirsi più libero cercò di comprometterla favorendo le attenzioni degli uomini per lei; ella si vendicò accettando le attenzioni di Dupin de Francueil innamorato di lei. All’epoca la cosa non fece troppo scandalo poiché un matrimonio in cui il marito amasse la moglie era una rarità, ed essere gelosi era ritenuto estremamente sconveniente. Quando nel 1749 si separò dal marito, separò anche i suoi beni e le sue rendite dalla avventata prodigalità del lui. Di cultura ampia ed eterogenea si occupò anche di pedagogia scrivendo per la figlia Emilie e nel’ultima parte della sua vita, delusa dalle sue storie tormentate, cercò sollievo, con scarsa convinzione, nella religione.

Francoies d’Issemburg d’Happancourt, poi M.me de Graffigny (1695-1758) che rimase celebre per le sue Lettres in cui descrive la vita privata di Voltaire e M.me du Chatelet e sua nipote Anne Catherine de Ligneville d’Autricourt poi M.me Helvetius dal cui salotto prese l’avvio il movimento degli Ideologues animato da Diderot, D’alembert, M.me de Stael ed anche Benjamin Franklin e Stendhal.
Louise Honorine Crozat du Chatel poi duchessa di Choiseul, nipote del finanziere di Luigi IVX, dal carattere in contrasto con la tendenza delle donne a lei contemporanee, non soffrì di ennuì come la sua amica M.me de Deffand, e fu una critica severa degli idolatrati Voltaire e Rousseau.
220px-AnneCatherineHelvetiusRenèe Caroline de Froullay poi Marchesa di Crèqui (1714 – 1803) orfana, allevata dalla nonna materna, sposò il marchese di Créqui del quale rimase vedova dopo solo 3 anni di matrimonio. Fu amica di d’Alembert e di Rousseau, condusse una vita ritirata, e priva di vizi, riteneva che l’educazione delle ragazze non si dovesse limitare alla danza alla musica e ai romanzi e a tutti gli aspetti esteriori dell’esistenza. Poiché questa educazione non poteva produrre né il coraggio né la cultura o la moralità che poi veniva richiesta alle donne e criticava l’aristocrazia poiché disprezzava il lavoro domestico fondamento, secondo lei, di ogni solida educazione. Durante la Rivoluzione fu arrestata e tenuta prigioniera in un convento. Si risposò nel 1796 pochi anni prima di morire, col cavaliere Boufflers.

Biblio
N. Zemon Davis, A. Farge – Dal Rinascimento all’età moderna, Storia delle donne, Laterza -Bari
per chi legge in francese: M. De Lescure Les Femmes Philosophers Ed. Dentu Paris https://archive.org/stream/lesfemmesphiloso00lesc#page/n0/mode/2up

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Il pensiero illuminista – parte I – M.me de Lambert

Con il termine illuminismo si indica storiograficamente un complesso sistema di idee che caratterizzò la vita europea del XVIII secolo, con alcuni aspetti generali ed altri specifici assunti dalle principali culture nazionali del tempo. Il contesto storico in cui si sviluppa l’illuminismo è estremamente variegato: i paesi erano lacerati dalle contrapposizioni religiose, l’influenza della chiesa sulle Monarchie era fortissima e anche il gravame dei privilegi feudali ed ecclesiastici sulle economie statali. Inoltre continue guerre di successione, che contrapponevano le principali dinastie, continuavano a sconvolgere l’Europa.

I punti focali della cultura generata dall’illuminismo, colti nella loro generalità, possono essere divisi in tre ordini di argomento (perdonate la necessaria terminologia filosofica). Il primo riguarda lo sviluppo della vita religiosa oltre la dicotomia di Riforma e Controriforma, con un evoluzione del pensiero che – adottando una distinzione proposta da Kant – da una parte va verso il revivalismo religioso di carattere teistico (che in filosofia è rappresentato da autori come Berkeley e Leibniz) e dall’altra verso una critica radicale della cultura religiosa (il deismo e addirittura un consapevole ateismo).

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Encyclopedie_de_D'Alembert_et_Diderot_-_Premiere_Page_-_ENC_1-NA5Il secondo aspetto riguarda la trasformazione del paradigma logico della cultura scientifica e umanista dal razionalismo metafisico e deduttivo seicentesco al razionalismo analitico induttivo settecentesco. Il nuovo stile della Ragione che aveva la sua radice nel metodo scientifico di Galilei e Newton, si proponeva una descrizione astrattiva e analitica della realtà che andava dalle specifiche condizioni di possibilità di un fenomeno alla formulazione di una Legge generale: in questo modo la scienza illuminista trasformava il complesso mondo naturale in un ordinato mondo oggettivo, facendo tramontare gli influssi del pensiero magico e religioso che la cultura barocca aveva conservato. La razionalità illuminista oscillerà dunque tra la pluralità e diversità dei linguaggi scientifici e disciplinari – come dimostra l’opera simbolo del secolo l’Enciclopedia del sapere – e la tensione verso il Sistema, che darà luogo a riduzioni e rigidità interpretative.

Terzo aspetto, il graduale superamento del sistema politico dell’assolutismo monarchico, cardine attorno al quale, in modo più o meno illuminato, ruoterà tutta la storia politica del settecento.

Questi tre aspetti, che si incontrano nelle cosidette Scienze dell’Uomo – insieme alla riscoperta del Diritto naturale – forgiano un immagine nuova dell’uomo, pluralistica, complessa e problematica, non più riducibile a uno schema metafisico.

Per quanto attiene al nostro tema, il pensiero delle donne, il Settecento apporta due contributi: la diffusione del diritto naturale e razionale rafforzò il punto di vista di chi lottava per una società più egualitaria nella sua struttura, e paritaria per quel che riguardava il rapporto uomo-donna. Consuetudini, tradizioni e autorità se non conformi alla Ragione, potevano essere discusse, in campo giuridico ma anche politico, religioso, letterario, scientifico. Già il razionalismo seicentesco di Descartes, Spinoza e Locke con la forte idea della ragione umana aveva preparato il terreno alle rivendicazioni della propria razionalità da parte delle donne, nel settecento si passò dal terreno metafisico a quello politico. Il secondo: la diffusione della cultura scientifica e tecnica promossa dagli illuministi coinvolse, seppure in modo minore, anche le donne, e a partire da questo secolo troveremo più scienziate, giornaliste, scrittrici, legislatrici, che non voleva dire “pari opportunità” (i roghi abbiamo visto che proseguono in qualche modo fino alla metà del ‘700) ma, almeno, l’inizio della caduta delle difese di principio del primato maschile e della legittimità della discriminazione sessista, almeno negli ambienti colti. Le donne che studiavano divennero consapevoli soggettivamente del loro contributo al progresso civile, e si inserirono nella battaglia delle idee. Non è ancora la nascita del femminismo nel significato otto-novecentesco di rivendicazione di una identità delle donne ma una rivendicazione dell’uguaglianza nel diritto e nei diritti universali per la donna.

download (2)Una figura di grande influenza della cultura francese tra Seicento e Settecento è sicuramente quella di Marie-Therese de Marguessat de Courcelles, poi M.me de Lambert (1647 – 1733). Fu educata dal secondo marito di sua madre, epicureista che la formò allo scetticismo e alla cultura classica stimolandone l’insaziabile curiosità. A 19 anni sposò il Marchese de Lambert governatore di Lussemburgo, e divenne vedova nel 1686 dopo 20 anni di matrimonio. Libera dall’educazione dei figli e in possesso di un ingente fortuna, tenne un salotto la cui influenza durò dal 1710 alla sua morte 23 anni dopo. Il Martedì letterati artisti e dotti, tra cui molte donne, il Mercoledì la società mondana, disquisivano sulle questioni del tempo. Nel suo salotto si decidevano i futuri membri dell’Académie Francaise. La marchesa fu inolte autrice di molte opere, tra cui ricordiamo Avis d’une mère à sa fille e Avis d’une mère à son fils, e scrisse numerosi trattati e più di 60.000 lettere sugli argomenti più vari – dall’amicizia, al gusto e all’amore, insieme ad opere di storia filosofia pedagogia e psicologia, nonché resoconti degli intrighi di corte e di avvenimenti quotidiani, quasi tutte pubblicate alla sua morte, poiché non era ritenuto conveniente che un animatrice di un salotto entrasse nel vivo delle discussioni con dei propri scritti. Negli Avis, piuttosto diversi negli intenti, la donna intendeva integrare gli insegnamenti ricevuti dai figli con consigli di vita pratica e “convenienze” sociali. Mentre mette in guardia la figlia contro le insidie della società, per lui il consiglio è di padroneggiarla. Pe entrambi vale la regola di rispettare prima di tutto il dovere della religione – anche se per amore dell’ordine più che per convinzione di fede – ma per il figlio c’è un richiamo alla gloria, ottenuta attraverso l’esercizio della giustizia e della grandezza d’animo, che non esclude del tutto l’egoismo del merito personale, gloria ben diversa da quella prospettata alla figlia grazie all’esercizio della virtù, dei limiti e dei divieti poiché i piaceri troppo vivi, gli spettacoli e l’utilizzo di immaginazione sono fonte di seduzione e illusione. D’altronde l’amore è presentato come fonde d’infelicità e delusione, per piacere la donna deve essere umile e modesta perché la sua battaglia non è nel mondo ma nella sua interiorità ed il mondo gioca il ruolo di corruttore, poiché favorisce lo schiudersi delle passioni, fonte di infelicità. Questi scritti sono interessanti poiché attestano un cambiamento sintomatico: non più solo uomini che scrivono per dare consigli a giovinette, ma una signora che insegna, fra l’altro, le buone maniere e la vera gloria a un ragazzo. Nel trattato sur la Vieillesse l’autrice lamentò che Cicerone avesse scritto un trattato per aiutare gli uomini a invecchiare bene e non si fosse occupato anche delle donne, alle quali una mancata istruzione spesso aggravava le difficoltà di quell’età; l’unico vantaggio della vecchiaia era secondo lei liberare l’uomo dalla tirannia delle passioni, vantaggio che non poteva controbilanciare la perdita della giovinezza. Di questo trattato Leopardi citò nel suo Zibaldone la frase “nous ne vivons que pour perdre et pour nous détacher” che ben rappresenta l’idea del poeta dell’esistenza umana come perdita e distacco dalle illusioni della giovinezza.

La Lambert scrisse anche le “Nouvelle reflexions sur les femmes” dove difende le donne contro il ridicolo che veniva attribuito a quante di loro si occupavano di cultura arti e scienze e conduce una requisitoria contro gli uomini colpevoli di spero dei doni naturali delle donne, trascurati o disprezzati, doni che se sviluppati contribuirebbero alla felicità umana e alla diffusione di una più completa concezione dell’amore. Gli uomini, nota infatti ella, dopo aver escluso le donne dalla sfera dell’intelletto e attribuendo come specificatamente femminile la sfera sentimentale, ne inibiscono poi alle stesse la possibilità di usufruirne e rileva anche che ad una razionalità di tipo maschile presente in molte delle donne a lei contemporanee non corrispondevano adeguate attrattive paragonabili a quelle femminili negli uomini. In questa maggior completezza risiede secondo lei la superiorità delle donne. Risponde anche a coloro che accusano le donne di immoralità sostenendo che è la visione maschile dell’amore, basato sui sensi, incostante e senza alcuna profondità, a contribuire alla corruzione della società, mentre l’amore è un arte che va coltivata e raffinata, un amore platonico, fatto di piccole felicità, che ha come modello ideale quello dell’amicizia, dove i toni delicati prevalgono sugli eccessi, in modo che si possa godere soltanto di ciò che c’è di migliore. E’ interessante rilevare che la Marchesa – fiduciosa che la liberazione delle donne dagli ostacoli e dai pregiudizi maschili che lei illustrava avrebbero dato vita ad un nuovo umanesimo – nella sua vita abbia tentato, e sembra con successo, di realizzare questo sistema ideale.

Biblio:

E. Cassirer “La filosofia dell’illuminismo” La Nuova Italia, Firenze

F. Taricone “Le donne in Italia. Diritti civili e politici” Liguori, Napoli

M. De Lescure “Les femmes philosophes” E. Dentu Ed. Parigi

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