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Le donne dell’illuminismo Italiano (parte I)

Nelle nazioni cattoliche i mutamenti nel rapporto tra Stato e Chiesa, che in Francia e in Inghilterra ebbero come protagonisti la classe borghese e il basso clero, furono veicolati dal dispotismo illuminato dei sovrani, saldato a tendenze di riforma “democratica” del clero. L’Italia, attraverso l’influsso dell’assolutismo austriaco, fu laboratorio di questo

Maria Teresa d'Austra

Maria Teresa d’Austra

rinnovamento. Maria Teresa d’Austria (1717-1780) come già suo padre Carlo VI, avviò una politica di separazione tra la sfera statuale e quella ecclesiastica, ispirata a principi volti a rafforzare la monarchia assoluta, e questo orientamento giunse all’apice con i suoi figli Giuseppe II e suo fratello Pietro Leopoldo II Granduca di Toscana; “per beneficio della religione e della carità” la chiesa fu sottoposta a fiscalità, furono soppressi ordini religiosi contemplativi, fu dimezzato il clero regolare, semplificata la vita religiosa e decretata la tolleranza verso altre religioni. Lo Stato laico incamerò beni ecclesiastici dando vita a istituzioni laiche di carità e a nuove istituzioni scolastiche. Un apporto decisivo a tali iniziative venne dal Muratori con le sue proposte di riforma interna della chiesa.

Il Giansenismo conobbe una nuova fioritura, e proprio dal tronco dell’Illuminismo cattolico si sarebbe formata una delle componenti più significative dell’illuminismo italiano (ricordiamo la famosa conversione del Manzoni e della sua famiglia di cui si parlerà in seguito). L’illuminismo liberale e radicale ebbe in Italia un’impronta giuridico-politica che pose per lo più fuori quadro le questioni religiose a vantaggio di uno spirito riformatore di carattere economico-giuridico, con due centri focali che furono Milano e Napoli; a milano ruota attorno all’Accademia dei Pugni fondata dai fratelli Pietro e Alessandro Verri, a Napoli ebbe come precursore Giambattista Vico e fu animato, tra gli altri, dall’abate Antonio Genovesi e in campo giuridico da Gaetano Filangieri e Mario Pagano, quest’ultimo vittima della repressione seguita alla rivoluzione napoletana di stampo giacobino del 1799.

Le linee principali dell’illuminismo femminile italiano non si discostano da quelle di altri paesi europei: ampliamento della cultura scientifica e della partecipazione accademica e rivendicazione di eguali diritti in sede politica.

Anna Morandi Manzolini

Anna Morandi Manzolini

In campo scientifico abbiamo numerose donne all’università di Bologna, tra cui ricordiamo Anna Morandi Manzolini (1716-1778) studiosa di astronomia, Lorenza Maria Catarina Bassi (1711-1778) studiosa di matematica e filosofia e insegnante di fisica, Maria Delle Donne professore di ostetricia e Maria Gaetani Agnesi (1718-1799) intelletto precoce e versatile (la prima pubblicazione all’età di 21 anni fu una raccolta di saggi di logica filosofia e scienze naturali) che scrisse

Frontispizio delle "Instituzioni_analitiche"del' Agnesi

Frontispizio delle “Instituzioni_analitiche”del’ Agnesi

le Istituzioni analitiche ad uso della gioventù (1748), che le consentirono di ottenere l’insegnamento di matematica e storia naturale all’università bolognese.

Diamante Medaglia Faini

Diamante Medaglia Faini

Nel dibattito settecentesco sul ruolo della donna nella cultura, a battersi per il diritto ad una istruzione superiore anche in campo scientifico furono Giuseppa Eleonora Barbapiccola, filosofa e traduttrice, la poetessa Diamante Medaglia Faini,  Aretafila Savini de’Rossi di Siena, che scrisse una “Apologia in favore degli studi delle donne” e Diamante Medaglia Faini di Brescia, che prese pubblicamente posizione per l’allargamento delle presenze femminili nel mondo scientifico.

Rosalba Carriera

Rosalba Carriera – autoritratto

Ruolo importante nella cultura dell’epoca fu svolto dalla veneziana Elisabetta Caminer Turra giornalista per L’Europa letteraria e il Giornale enciclopedico e traduttrice di Moliere ed altri autori francesi, mentre tra le artiste ricordiamo la pittrice veneziana Rosalba Carriera, specializzata in miniature e ritratti.

Nel 1794 con lo pseudonimo di Rosa California “nobildonna romana” usci il libro “Breve difesa dei diritti delle donne” pubblicato nello Stato Pontificio, in cui si respira una certa aria conservatrice ma si ribadisce il rifiuto di ridurre i caratteri propri delle donne alla loro conformazione fisica e biologica, tendenza che certi Ideologi francesi lasciavano intravedere, e l’ingiustizia di giudicare moralmente le donne basandosi sulla loro condizione, conseguenza di un marcato stato di minorità sociale; Rosa California inveisce contro “I donneschi difetti” del Pasi – che ne enumera 35 – ricordando che anche gli uomini del secolo illuminato avevano spesso dato una pessima prova di se stessi.

Nel 1796 Carolina Lattanzi leggeva, all’Accademia di Mantova, “Sulla schiavitù della donna” poi dedicata alla “cittadina Rose Josephine Bonaparte”, denunciando come le religioni avessero costretto, presso tutti i popoli del mondo, le donne a restare in posizione di subalternità: in india bruciata sul rogo del marito deceduto, in occidente perseguitata come strega e rinchiusa nei conventi; il Diritto di famiglia le negava il divorzio, la escludeva dall’eredità, per loro “il più dolce dei legami viene trasformato nella più pesante delle catene” e se gli uomini lottavano contro un tiranno, le donne lottavano contro mille tiranni: i padri e i mariti, concludendo con veemenza e passione che non la natura, ma gli uomini hanno sempre ostacolato l’emancipazione della donna.

Sempre nel 1797 fece la sua apparizione a Venezia, a firma Cittadina I.P.MLa causa delle donne”, testo che propone un’apologia della natura, tipico tema illuminista, e continua con il rovesciamento simmetrico della tesi maschilista dell’ “inferiorità della donna”, e cioè “l’eccellenza della donna” creata dopo Adamo e quindi più perfetta, rovesciamento provocatorio, condotto sul piano ideologico-morale, senza alcuna pretesa di giustificazione biologista o metafisica.

Eccone uno stralcio: “Quando fu creato il primo uomo voi sapete quanto egli da principio fosse infelice in mezzo alle sue maggiori felicità. Non vi è stato uomo di più sana e perfetta complessione, non vi è stato possidente di più copiose e meno invidiate ricchezze, non vi è stato sovrano di più vasti e sicuri domini: eppure egli non era né contento né soddisfatto, egli era ancora infelice. Ma cosa gli mancava per una perfetta felicità? Gli mancava il suo simile, il suo eguale. Egli aveva tutti gli organi della favella, e non trovava persona con cui potesse ragionare e parlare. Egli sentiva nascersi nell’anima mille pensieri, mille riflessioni, e non trovava un altro uomo a cui poter palesare con interno piacere i prodotti della sua mente. Egli era internamente commosso ed agitato e non trovava nessuno a cui poter comunicare secondo il suo naturale desiderio gli affetti del proprio cuore. Egli aveva nella sua macchina una potenza generante e produttrice e non trovava il modo di porla in esercizio. Egli si sentiva inclinato alla società e fratellanza e non trovava un simile con cui potersi unire e fraternizzare. Egli aveva nella sua macchina una potenza generante e produttrice e non trovava il modo di porla in esercizio. La costituzione intrinseca di questo uomo richiedeva la compagnia d’un’ altra creatura ragionevole la quale fosse nel tempo stesso differente da lui e uguale a lui. Gli organi della generazione, ed i naturali affetti che l’accompagnano, richiedevano senza dubbio una creatura differente; ma tutte l’altre passioni ed inclinazioni dirette alla società richiedevano una creatura uguale. Che fece l’Autor della Natura per soddisfare tutti questi bisogni? Diede all’uomo per compagna la donna, ed ecco meravigliosamente equilibrata nella donna e nell’uomo la differenza e l’uguaglianza: cioè la differenza de’ sessi e l’uguaglianza delle nature. Eccettuate dunque le potenze produttrici, e tutto ciò che con esse ha necessaria relazione, l’uomo e la donna nel rimanente sono per natura loro egualissimi. Sapientissimi cittadini, potete voi negare questa naturale uguaglianza? Ma fu conceduta all’uomo la superiorità e alla donna fu intimata la soggezione. Non sentiamo con meraviglia, che ci venga rinfacciata questa disuguaglianza da uomini filosofi, e sostenitori de’ diritti naturali. Non sanno forse codesti uomini millantatori, che la superiorità da loro vantata non fu effetto della natura ma piuttosto della colpa? Non sanno che siccome all’uomo furono imposte altre pene, che dovevano a lui più rincrescere per la sua maggiore cupidigia, ed infingardaggine, che lo inclinano a molta ambizione ed a poca fatica, così alla donna furon dati i castighi dell’infermità e delle doglie, perché dovevan riuscirle più duri per la sua maggior delicatezza, che la rende più sensibile alla soggezione ed al dolore? Non sanno che questa vantata disuguaglianze è tutta teologica e fuori dell’ordine fisico dell’intrinseca natura? Non sanno che la nostra pretesa soggezione non comprende tutte le donne ma solamente le spose? Non sanno che questa superiorità rinchiusa ancora in questa maniera fra le strette mura della casa vuolsi credere necessariamente limitata, anziché non distrugga quella fraternità e uguaglianza che fu opera della natura, ed a cui per conseguenza si le le donne che gli uomini hanno tutti nella stessa maniera un ugual diritto naturale?”

Nel campo conservatore nel 1799 prese posizione a favore degli austriaci la bolognese Clotilde Tambroni (1758-1817) docente di Lingua Greca all’Università fino a che non fu sollevata dalla carica poiché rifiutò di prestare giuramento contro il re e gli aristocratici e, sempre nello stesso anno, a Venezia, apparve l’anonimo libello “L‘impossibile, ovvero la riforma delle donne nella loro educazione” dove si individuava il potenziale sovversivo di una rivolta femminile che mirasse a scardinare l’ordine sociale e dove quindi si proponeva una sorta di “patto ragionevole” in cui le donne, in cambio di più equi diritti, cooperassero al mantenimento della stabilità sociale.

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